Vi ricordate la leggendaria immagine del giovane “genio” americano che nella Silicon Valley, in un garage con qualche amico, avvia un progetto che rivoluzionerà l’intero mondo e, soprattutto, il suo patrimonio personale? Bene. Dimenticatelo. Una recente ricerca firmata da Benjamin Jones, professore di strategia alla Kellogg School rivela che, in campo tecnologico (e più in gene- rale in quello scientifico) l’exploit non arriva a 20 anni ma intorno alla mezza età. E le startup della SiliconValley non fanno eccezione. Proprio Jones insieme con Javier Miranda del U.S. Census Bureau, e Pierre Azoulay e J. Daniel Kim del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ha analizzato un database consistente e da questo è emerso che al contrario di ciò che vuole la credenza popolare, i migliori imprenditori sono perlopiù di mezza età.
Tra le newco a più alto indice di crescita, l’età media del fondatore al lancio della startup è di 45 anni. Non solo. Dati alla mano, un 50enne sembra avere il doppio delle probabilità di aprire un’attività di successo rispetto a un 30enne. Un 40enne ha 2,1 probabilità in più di lanciare una startup di successo rispetto a un 25enne. E ha 1,3 probabilità in più di fondare una startup che si vada a collocare nel miglior quartile.
Un risultato che, non solo sfata un mito, ma apre nuovi scenari su molti fronti perché invita a rivedere e riconsiderare in maniera prepotente le convinzioni intorno al “valore economico” dei soggetti over 40 e over 50. E, perché no, anche over 60. Una follia? Niente affatto, anche le piccole e medie imprese, nota ossatura dell’azienda Italia, si caratterizzano per una importante presenza di esponenti e manager agée.
Uno studio svolto con il supporto del prof. Massimo Caratelli (Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università Roma Tre) dal centro studi Active Longevity Institute (A.L.I.), costituito da quattro soci con esperienze e competenze variegate (Francesco Priore, Emanuela Notari, Joe Capobianco e Paolo Gila, ndr) rivela che oggi in Italia gli imprenditori over 60 sono ben il 53%. E se concentriamo lo sguardo sul tessuto lombardo, e in particolare milanese, troviamo una forte centralità di quella che molti oggi chiamano la silver economy: le imprese con almeno un esponente o un manager con circa 60 anni costituiscono, infatti, il 40% delle aziende più piccole, percentuale che cresce fino al 53% nelle PMI e raggiunge ben l’84% tra le grandi.
Non solo. Le micro imprese “over 60” hanno il primato relativamente al numero di aziende (72%), mentre le grandi aziende “over 60” primeggiano (neanche a dirlo) per fatturato (72%) e numero di addetti (81%). Due settori si comportano in modo alternativo: il numero delle imprese “over 60” del settore delle costruzioni di- minuisce al crescere della classe dimensionale (dal 10% nelle micro imprese al 3% delle grandi aziende), mentre il numero di imprese industriali “over 60” aumenta con le dimensioni (dal 9% nelle micro imprese al 27% delle PMI e grandi aziende).
Il settore dei servizi è comunque il più rappresentato con valori compresi tra il 64% e il 79%. Interessante anche la storia delle aziende milanesi che risultano esistere in media in un intervallo compreso tra i 21 (micro imprese) e i 31 anni (grandi aziende). Le PMI hanno “un’età media” di circa 25 anni. Le imprese over 60 di genere, cioè le aziende che possono vantare almeno un esponente o un manager donna con età uguale o superiore a 60 anni, sono numerose tra le grandi aziende (74%) ma molto poco presenti tra le PMI (30%) e le micro imprese (addirittura il 16%). In generale, con riferimento agli esponenti e ai manager, le donne sono poco più di un quarto del totale. Nell’ambito del campione, il 20% degli over 60 è membro del CDA e un altro 24% occupa posizioni di rilevo in azienda. All’interno di queste percentuali, le donne raggiungono appena l’11% tra i membri del CDA e il 13% tra le posizioni manageriali. Un dato interessante, infine, è che ogni ultrasessantenne membro di CDA svolge almeno altri due incarichi simili.
“La demografia italiana si presta a molti slogan (assolutamente veritieri)” spiega Joe Capobianco: “l’aspettativa di vita è tra le più alte al mondo; il tasso di fecondità è tra i più bassi al mondo; la popolazione invecchia sempre più. I numeri confermano però che questa popolazione non è da guardare come ‘semplice’ destinataria di servizi di welfare. Anzi. L’Italia non può più sottovalutare la demografia degli over 60: un esercito di quasi 18 milioni di italiani e di quasi 1 milione di milanesi, attivi, impegnati e demanding. Affianco alla silver demography avanza, in questo senso, la silver economy che impone la definizione di nuovi standard di cultura, tecnologia, prodotti e servizi” continua Capobianco che per A.L.I. è responsabile marketing, sviluppo e innovazione.
“Questi risultati hanno serie implicazioni non solo per gli aspiranti imprenditori, che possono essere indotti a sopra o sottovalutare le proprie probabilità di successo in base alla propria età, ma anche per la società in generale e per l’industria della consulenza finan- ziaria in particolare” prosegue Capobianco. “I cambiamenti relativi al peso numerico della popolazione anziana e alla sua inedita lon- gevità spingono a riflettere e modificare l’approccio che abbiamo quando parliamo di pianificazione pensionistica.
Vietato guardare solo ai millennials. Il futuro dell’italia si fonda anche sul dinamismo e sulla longevità degli ultra-sessantenni ecco perchè, quando parliamo di pianificazione …
Non si tratta più soltanto di colmare un gap ormai noto a livello pubblico, preve- dendo una previdenza complementare e integrativa in grado di ga- rantire lo stesso tenore di vita tenuto durante l’età lavorativa. Qui abbiamo di fronte soggetti che chiedono a gran voce una corretta gestione delle proprie risorse economiche per poter soddisfare i bisogni di una vita sempre più lunga, comoda e attiva. La vecchia- ia è molto diversa da quella che conosciamo e questo impone un nuovo approccio consulenziale. Così come per i venture capitalists può essere più interessante investire in imprenditori senior, per i consulenti, spesso spinti a guardare solo ai millennials, può invece diventare sempre più vantaggioso guardare alla silver economy” conclude Capobianco.