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Come funziona la pensione integrativa e fino a che età vale la pena iscriversi a un fondo pensione

La sua funzionalità risalta ancora di più da quando la riforma previdenziale ha modificato il sistema di calcolo dell’assegno pensionistico da retributivo (basato su una media degli ultimi stipendi) a contributivo (basato su quanto realmente versato durante la vita lavorativa). Il tasso di sostituzione – ovvero il rapporto tra la prima pensione e l’ultimo salario – previsto per le pensioni contributive è infatti inferiore al tasso di sostituzione delle pensioni retributive dei nostri nonni: il retributivo viaggiava intorno all’80% (assegno pensionistico pari all’80% circa dell’ultimo stipendio), mentre il contributivo varia tra 65% circa per i dipendenti e 40% o 50% per gli autonomi. Significa che in media le pensioni totalmente contributive ammonteranno a poco più della metà dell’ultimo stipendio.

Il primo significativo vantaggio di una pensione integrativa è quindi un maggiore reddito pensionistico

Ecco perché una pensione privata che integri un reddito pensionistico così ridotto è sempre più fondamentale e opportuna. Anche in età già matura. Grazie al continuo aumento dell’aspettativa di vita e dell’età pensionistica, anche a 45/50 anni si hanno ancora davanti 20 o 25 anni di lavoro, tempo sufficiente ad accumulare un piccolo capitale, tanto più che si tratta normalmente di anni di maggiore retribuzione e quindi di più agevole contribuzione.

A rendere ancora più appetibile l’investimento in una forma di pensione integrativa, varie agevolazioni fiscali, sia in fase di accumulo che di decumulo. Vale anche l’osservazione che la previdenza complementare è un investimento che, sebbene più rigido di un piano di accumulo che si può riscattare quando si vuole (ma non è agevolato fiscalmente), prevede comunque la possibilità di anticipazione e riscatto per alcune emergenze o necessità definite per legge.

Come funziona pensione integrativa?

Il lavoratore versa al fondo pensione una somma che può corrispondere al TFR – che viene così distolto dall’azienda – più un’eventuale integrazione volontaria, che per le forme negoziali prevede anche il contributo del datore di lavoro. La somma totale viene affidata a un ente terzo – banca, impresa di assicurazione, società di intermediazione mobiliare o società di gestione del risparmio – che la amministra investendola sui mercati finanziari in prodotti diversi a seconda del profilo di rischio scelto dal lavoratore.

Nel caso della pensione pubblica il meccanismo è molto diverso: non esiste infatti una cassetta di sicurezza nominativa presso l’INPS con i nostri reali contributi, essendo la distribuzione delle pensioni in Italia ancora a ripartizione, ovvero gestita attraverso un “giro di conto” che vede gli attuali lavoratori finanziare le attuali pensioni, basando il meccanismo su un patto generazionale che si rinnova. La pensione privata invece è frutto di un capitale accumulato e investito contestualmente sui mercati finanziari, per lo più in fondi comuni e ETF. Ciò implica una prima considerazione: se la pensione pubblica è garantita, seppur minacciata dal rischio dell’invecchiamento della popolazione, cioè il disequilibrio tra il crescente numero di anziani pensionati e il decrescente numero di persone in età da lavoro, la pensione privata risponde al concetto di rischio/rendimento: l’entità del possibile rendimento è commisurata all’andamento dei mercati finanziari (oltre che alla capacità di risparmio del lavoratore e all’orizzonte temporale dell’età pensionistica). Per avere accesso alla possibilità di un rendimento più alto, devo accettare il rischio finanziario di perdita sul mio investimento.

Se il mio profilo è più conservativo, sceglierò per la mia pensione integrativa linee di investimento più prudenti, come titoli di Stato e obbligazioni, dove il rischio di perdita del capitale, ma anche quello di rendimento, è molto più basso.

La legge rischio/rendimento, spesso poco considerata dagli investitori italiani, vale per tutti i prodotti finanziari: non c’è rendimento senza rischio. I fondi pensione aggiungono alla promessa di un rendimento commisurato alla capacità di rischio e di risparmio (quanto verso), anche la leva del tempo e del capitale composto. Ogni anno l’investimento sarà composto dal capitale più i rendimenti degli anni precedenti. Fatto 100 il capitale originale, all’anno 2 il capitale investito sarà 100 + il rendimento dell’anno 1 che chiamiamo X. All’anno 3 sarà 100 + X + il rendimento dell’anno 2, ecc. Il tempo consente di far fruttare il meccanismo del capitale composto e di bilanciare periodi più o meno positivi, oltre che di poter aumentare il capitale investito in virtù dell’aumento dei salari nel corso della carriera.

Come viene erogata la pensione integrativa?

Al momento in cui scatta il diritto alla pensione, dopo un’anzianità minima di versamenti al fondo pensione, questo si può riscattare in due modi:

I principali vantaggi dei fondi pensione?

Quali sono le forme possibili di pensione privata?

Anticipazioni e Riscatti  

Come già anticipato, in particolari condizioni previste per legge è possibile accedere a un’anticipazione dal proprio fondo pensione:

E’ possibile richiedere diverse anticipazioni a titolo della stessa voce di spesa, purché in totale sia rispettato l’importo massimo previsto.

Per quanto riguarda invece il riscatto della pensione integrativa, le regole sono le seguenti:

In entrambi i casi la tassazione è del 15% riducibile al 9%, a seconda degli anni di iscrizione al fondo pensione.

In caso di cambiamento di azienda e di eventuale contratto collettivo sono previste regole particolari per il riscatto:

Ma davvero conviene sempre? Anche a 60 anni?

Anche chi percepisce pensioni di anzianità ha diritto a sottoscrivere un fondo pensione volontario, purché con almeno un anno di anticipo rispetto al compimento dell’età pensionabile. Spiega infatti questo articolo sul blog Capire per Investire che il vantaggio della detrazione fiscale potrebbe rendere conveniente l’investimento in un fondo pensione integrativo anche in età già matura, con l’esempio di un artigiano di 60 anni, con un reddito lordo di 60.000 euro e la sola futura pensione pubblica. Se questa persona versasse a un fondo pensione 5.000 euro l’anno per i successivi 10 anni, ogni versamento annuo, grazie alla deduzione Irpef, produrrebbe un vantaggio fiscale immediato di 2.050 euro evitandogli di salire allo scaglione successivo che prevede il 41% di tasse (in realtà, grazie all’ultima riforma, adesso l’aliquota è del 43%, quindi il risparmio sarebbe di 2.150 euro). Prescindendo per fini di semplificazione di calcolo la rivalutazione che i 50.000 euro versati avranno prodotto nei 10 anni, al momento del riscatto la tassazione sarà del 15%, ovvero 7.500 euro. Detraendo questa “spesa” dal risparmio fiscale nei 10 anni di 20.500 (21.500) euro, il profitto certo sarebbe di 13.000 (14.000) euro netti.

Inoltre, non superando il 70% della rendita prevista dal fondo il 50% dell’assegno sociale, l’ipotetico investitore avrebbe anche diritto a riscattare immediatamente l’intero capitale, se non fosse interessato alla rendita.

Consiglio finale

Con le complicazioni delle continue riforme e quelle dettate dal continuo aumento dell’aspettativa di vita, non si può più andare in pensione “a casaccio” ovvero prima possibile come si faceva una volta. Il pensionamento merita una vera e propria strategia, possibilmente sviluppata insieme con un esperto, che soppesi tutte le opzioni e consigli un comportamento avveduto e ragionevole per godere del massimo delle tutele per i successivi 20 anni di vita.

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