480 mila, quasi mezzo milione. A tanto ammontano gli over 65 che, in Italia, continuano a lavorare pur avendo già raggiunto o superato il limite per l’età di pensionamento.
Il dato è frutto di una ricerca compiuta da ALI, Active Longevity Institute, incrociando le stime dell’Istat e dell’Inps fotografate a fine 2022. Tra questi individui, i “longevi attivi”, si trovano soprattutto professionisti: medici, avvocati, commercialisti, titolari di impresa, soci di attività industriali ancora operativi, ma anche artigiani, commercianti, agenti di commercio, sarti, ricamatrici, consulenti, architetti, designer, e altre figure che hanno pensato bene di non mollare, per passione, per desiderio di guadagno, per coinvolgere figli e nipoti in attività che potrebbero risultare ancora promettenti o cariche di prospettive future.
Per avere un’idea della portata di questa massa di persone, dobbiamo immaginare una città grande quasi quanto Genova, dove tutta la popolazione è in pieno e continuo tramestio. Se a questa popolazione si aggiungono anche coloro che svolgono attività di volontariato continuativo, e non occasionale, il livello degli over 65 attivi sale a 800 mila (grazie ai dati di Fondazione Cariplo e dell’Istituto Dondena). Questo quadro complessivo ci induce ad alcune valutazioni di fondo. Intanto, occorre precisare che non esiste una “Terza età”: esiste piuttosto una fase della vita dove, dopo l’attività lavorativa standard, la vitalità si prolunga e si stratifica in diverse fasce che possono prevedere una Terza, ma anche una Quarta età. Su questo aspetto – su come si segmentano le età della maturità – ci sono molte scuole di pensiero che portano ad altrettante classificazioni.
Alla base c’è una domanda che ognuno dovrebbe porsi: quanto potrò ancora vivere in salute dopo i 65 anni? L’aspettativa media di vita in Italia – certifica l’Istat – è di circa 82 anni per gli uomini e di circa 85 anni per le donne. Ci sono circa 20 anni di vita dopo il raggiungimento della pensione. Come viverli dipende anche dalle scelte e dallo stile di vita che ognuno decide di intraprendere, come ci ha ricordato il medico ricercatore Camillo Ricordi nel suo libro “Codice della longevità sana”, edito da Mondadori. Perché non è importante quanto si vive, ma quanto ci si mantiene in salute. Una parte della popolazione italiana, abbiamo visto, ha deciso di perseguire questa strada e restare in attività, producendo ricchezza e cercando di salvaguardare la salute grazie alle relazioni e ai sogni, che non muoiono mai.
Rispetto all’insieme totale della popolazione italiana (calcolata da Istat in circa 59 milioni di individui), i longevi attivi costituiscono poco meno dell’1% complessivo, ma contribuiscono al Prodotto interno lordo in misura molto maggiore. Contributo al Pil e alla ricchezza che, con ALI, andremo progressivamente a identificare e correlare. Rispetto ai dipendenti che sono al lavoro, in Italia sono 23 milioni e 300 mila, i longevi attivi sono il 2%. La quota sale al 2,7% se si confrontano i 480 mila over 65 attivi con i 17 milioni e 800 mila pensionati.
Da un punto di vista pratico emerge una incongruenza. Tutti coloro che, nelle varie forme, continuano a lavorare oltre la pensione sono comunque costretti per legge a versare contributi previdenziali di cui non godranno i benefici. Non si vuole mettere in discussione il pilastro di solidarietà su cui è basato il sistema previdenziale.
Ma non si potrebbe destinare almeno una parte di questi contributi versati dai longevi attivi per servizi utili a questa categoria e ai loro bisogni emergenziali? Che cosa ne pensano gli ordini professionali e le categorie dei lavoratori che prolungano le loro attività oltre la soglia dell’età pensionabile?
Ci sono però altre questioni da affrontare. In primis la complessità demografica. In Italia nascono sempre meno bambini: l’indice di natalità è ai minimi storici e in presenza di quote di anziani sempre più ampie stiamo andando incontro a quanto gli esperti hanno definito un “inverno demografico”. In prospettiva la popolazione italiana si potrebbe ridurre ancora e la parte degli anziani potrebbe diventare dominante. Un allarme che ha lanciato anche Elon Musk, quando in aprile 2023 ha detto che “l’Italia sta scomparendo”.
Al di là della questione di chi pagherà l’assegno mensile ai futuri pensionati (illuminante è l’ultimo saggio di Sergio Rizzo, “Il Titanic delle pensioni” pubblicato da Solferino) c’è la necessità di creare figure e ruoli istituzionali che osservino il problema e ne propongano soluzioni. In questo quadro i longevi attivi stanno già svolgendo un ruolo importante e strategico, ma non esiste visibilità del loro operato, né una rappresentanza che ne curi gli interessi a livello istituzionale.
Per queste ragioni ALI, Active Longevity Institute, è una società operativa nata non solo per studiare questi fenomeni e svolgere consulenze, ma anche per proporre la creazione di una figura come il “tutor della longevità”, che possa interloquire con le istituzioni e con le parti sociali, al fine di promuovere una corretta impostazione delle linee di politica economica alla luce di una transizione demografica che si preannuncia epocale e che coinvolge tutte le generazioni.
Come si può comprendere, il tema della longevità attiva si muove all’interno di un contesto di complessità, dove tutti i nodi sono collegati. Non è possibile sollevarne uno senza raccogliere anche gli altri. E questo è il bello della ricerca, che ci affascina e che ci invoglia ad approfondire, e che ci porta a sollecitare le istituzioni e l’opinione pubblica con stimoli sempre nuovi. Perché dal tipo e dalla qualità delle risposte che sapremo dare a questi e agli altri interrogativi, dipenderanno anche il futuro e la sostenibilità della nostra società.