Accettare vite ormai quasi centenarie vuol dire averne il controllo. Da qui l’importanza della pianificazione.
Il nostro Paese è il quinto più longevo al mondo, dopo Hong Kong, Giappone, Svizzera e Singapore. Ma sediamo al secondo posto per indice di anzianità, cioè il rapporto giovani e anziani, dopo il solo Giappone che detiene il primato del paese più vecchio al mondo. Se poi guardiamo all’aspettativa di vita in buona salute, scendiamo al decimo posto, con una media di 75 anni in buona salute, sia per uomini che per donne, con il risultato che le donne, più longeve, vivono più anni in condizioni di salute non ottimali. Il problema vero è che il rapporto tra chi è in età da lavoro e chi è in età da pensione ci sta portando rapidamente verso l’1:2 previsto nel 2050, peggiorato dal fatto che in Italia, come in nessun altro stato europeo, tra le persone in età da lavoro un quarto degli uomini e metà delle donne risultano inoccupati; quindi, il tasso reale è già di gran lunga peggiore di quello teorico.
Come si vede la longevità degli individui e l’invecchiamento del Paese visti in filigrana non sono in sintonia: un’aspettativa di vita più lunga sarebbe sostenibile nella vecchia logica che ha sostenuto il nostro sistema previdenziale a ripartizione, quella di un paese in crescita, con più bambini che anziani. Invece facciamo ormai praticamente 1,2 figli per donna, ben al di sotto del tasso di sostituzione (2,1), necessario perché la popolazione resti quantitativamente in equilibrio.
Ecco quindi che le stime ci dicono che gli attuali 58,9 milioni di italiani scenderanno a 54 milioni per il 2050. Ancora meno, 45,7 per il 2080. La riduzione della base della popolazione totale accentua ancora di più il peso della quota anziana che passerà da un quarto a un terzo tra oggi e il 2050.
Ma dove diminuisce la popolazione italiana? Tra i giovani, verissimo, stiamo vivendo una crisi di denatalità, ma il fenomeno persiste da così tanto tempo che oramai diminuisce anche la popolazione giovane-adulta, quindi in età lavorativa. Secondo l’ennesima stima, si prevedono dai 4 ai 6 milioni di lavoratori in meno da qui al 2050. Considerato che gli attuali realmente occupati sono solo 23 milioni (contro i 37 in età da lavoro), si fa presto a immaginare un paese in decrescita non solo numerica ma anche produttiva e innovativa, aziende in difficoltà per mancanza di manodopera e competenze, cittadini con scarsa profondità di sguardo e poco inclini alla speranza.
Il peso della popolazione anziana si sente sui numeri della spesa pubblica: le voci previdenziale e quella socio-sanitaria assorbono quasi il 25% del Pil – in testa alle classifiche Ocse la spesa previdenziale, al di sotto rispetto ai Paesi europei a noi vicini e in progressiva diminuzione quella sanitaria, ormai de-finanziata. Così chi può paga di tasca propria per accorciare i tempi di attesa e garantirsi trattamenti tempestivi. Si chiama out-of-pocket e in Italia incide per quasi un quarto della spesa sanitaria complessiva: in base agli ultimi dati Eurostat, circa 570 euro pro capite contro i circa 470 della media europea. Un po’ perché siamo tanto anziani, un po’ per via della medicalizzazione della società dei consumi.
Problemi troppo grossi perché li possiamo risolvere noi comuni cittadini, quello che possiamo fare noi è solo ragionarci sopra, diffondere i numeri, svegliare l’assopimento collettivo. Ma qualcosa di più possono fare i consulenti finanziari. È mia ferma convinzione che, se la parte di popolazione che possiede risorse per sostenersi, sviluppa consapevolezza e pensiero previdente, pianificando redditi, risparmi e tutele nel tempo, le classi che non hanno la stessa autonomia economica troveranno ancora un sostegno nel welfare statale. Se invece tutti seguiamo il pifferaio magico del sonnambulismo che ci pervade, andremo collettivamente a catafascio.
Pianificare una vita ormai quasi centenaria è necessario oltre che opportuno, frutto della volontà di non limitarsi passivamente a pagare lo scotto dell’invecchiamento del Paese, ma raccogliere anche il dividendo del nuovo concetto di longevità attiva, godendone le opportunità totalmente inedite e riducendone al minimo i rischi legati alle fragilità dei grandi anziani. Per questo c’è bisogno del meglio della Consulenza Finanziaria, gente che sappia leggere nel futuro e vedere un nuovo ruolo che va ben al di là dell’asset management.